Viene Natale, epoca in cui,
nelle campagne, si uccide il maiale. Ma sono convinto che i cittadini italiani
non potranno gustare del culatello né per Natale né mai. Il porcellum - cioè l’attuale legge-porcata
elettorale: l’elegante definizione è di uno dei suoi stessi artefici - si
salverà ancora. Nella sostanza, se non nella forma. Ha troppi amici altolocati,
il suino.
E non ha nemici. A quelli che si dichiarano tali si possono
infatti attribuire le parole che i milanesi mettono in bocca a chi prende di
santa ragione pugni e schiaffi e, nel patetico tentativo di non perdere la
faccia, si giustifica dicendo: Me n’ha
daa, ma ghe n’hoo dii! “Me ne ha
date, ma glie ne ho dette!”. I nemici
del maiale sono tali solo nel gioco delle parti di uno spettacolo ad uso del popolo
bue: qualche finto battibecco televisivo, qualche simulata contumelia, qualche
recitato e forse precedentemente negoziato insulto. Poi, il silenzio.
Il fatto è che il porcellum piace a tutti. Loro,
naturalmente, non noi. Piace tanto, alle segreterie di partito, nominare direttamente
i parlamentari e lasciare all’elettore la pura formale ratifica. Lo consentiva
anche la vecchia legge - il mattarellum -
sia pure in modo appena un po’meno smaccato. Nel 1997, per esempio, l’Ulivo,
che assolutamente voleva Di Pietro senatore nelle sue file, lo candidò come
capolista nel collegio senatoriale del Mugello, fortezza sicura. Di fatto, cioè,
lo nominò. Cito il caso Di Pietro non per malanimo verso l’esuberante,
sanguigno ed anche simpatico onorevole Checiazzecca, ma per la nitidezza
dell’esempio. Il meccanismo, dopo, è stato semplicemente perfezionato e
amplificato dalla legge-porcata, che non ha fatto se non estendere la nomina a tutti i candidati - nel numero
corrispondente alla percentuale spettante al partito - sottraendoli alla scelta
degli elettori.
“Conoscere per deliberare”, proclamava
nelle Prediche inutili Luigi Einaudi.
Un liberale. Un liberale: dunque per me, di idee socialiste (ma non craxiane:
non scherziamo!), un avversario. Ma che statura di avversario! Mille volte chapeau!, vicino a questi liberali
all’amatriciana. Conoscere per deliberare. Come conoscerli, però, i candidati? Alcuni
di essi sono noti a tutti, ma sono la minoranza: la larga maggioranza dei
parlamentari sono peones, massa di
manovra supina perché ricattabile al momento della compilazione delle prossime
liste elettorali.
E se invece le liste
prevedessero solo candidati residenti nel loro collegio elettorale, dove sono conosciuti
non soltanto per le loro idee ma anche per quel che si dice di loro, per la
loro moralità pubblica e privata, per la fiducia che è lecito avere nella concreta
attuazione politica e promesse elettorali? Vero è che il parlamentare non ha
vincolo di mandato. Vincolo giuridico no ma fiduciario sì. E allora devo
poterlo premiare o punire alla prossima tornata elettorale. Ma perché ciò accada
deve ripresentarsi obbligatoriamente ancora nel suo collegio, non altrove. Beh,
scommettiamo che la prossima legge, di indubitabile catoniano rigore - il catonianum, diciamo - non lo prevederà?
Che le segreterie si riserveranno il diritto di decidere loro dove iscrivere i
candidati? E quindi ripetere, magari con meccanismi ancor più affidabili, manovre
alla Di Pietro?
E ancora: chi farà la nuova
legge? I parlamentari eletti con la vecchia, ovviamente: i quali hanno un
lapalissiano maggior interesse a conservarla che a cambiarla. L’obbedienza
acquiescente alla segreteria del partito favorisce il rinnovo del seggio più di
quanto non faccia la più faticosa, ardua ricerca del consenso dell’elettore. Quante
serie proposte di legge, infatti, quanti determinati, combattuti, tenaci,
serrati dibattiti sul tema ricordano le cronache parlamentari negli otto anni
di vita della legge 270 del 21 dicembre 2005? Forse moltissimi e sono io che,
distratto, non me ne sono accorto e ho notato soltanto gli urli da copione nei
talk show. Me n’ha daa, ma ghe n’hoo dii!!
No, cari concittadini: del
buon culatello non ne mangeremo. Tutt’al più, della mortadella irrancidita. Se va
bene.
7 novembre 2013